ITALIAN VERSION
FOR ENGLISH VERSION CLICK HERE
Armonie di numeri nel Cosmo
dei Maya
testo di Nicoletta Stacco e Fabrizio Tamburini
I Maya, i costruttori dei grandi centri di Copàn, Palenque e Tikàl, hanno sempre rappresentato un mistero sin dalla loro accidentale scoperta dovuta allo stesso Colombo. Non ci sono, infatti, pervenuti ne’documenti ne’tradizioni orali che ci possano aiutare a costruire un quadro antropologico ben preciso, che descriva il loro modo di vivere e di pensare, compreso il rapporto allora esistente fra uomo, natura ed altri esseri umani. Possiamo formulare solo delle ipotesi basate sulle testimonianze raccolte dagli uomini della Chiesa Cattolica sotto forma di alcune relaciones stese durante il periodo della conquista spagnola, documenti stilati senza alcuna pretesa se non quella di raccogliere dei frammenti di cronaca; tutto questo purtroppo non ci consente di squarciare il velo di mistero che continua tuttora ad avvolgere questa civiltà precolombiana. Abbiamo quindi notizie di avvenimenti storici e culturali solo a partire dall’insediamento di questo popolo nell’attuale penisola dello Yucatàn, dopo la migrazione avvenuta attorno al X sec. dopo Cristo.
La cultura maya è basata in ogni suo aspetto su concezioni del cosmo e del mondo che si rispecchiano a vicenda. La cosmo-teogonia, il calendario, i riti, le matematiche, la cronologia, l'astronomia, la famiglia e la vita quotidiana attingono allo stesso modello. Nessun elemento può staccarsi da questo Tutto in cui si trova solidamente integrato.
Una civiltà come questa, basata essenzialmente sull’agricoltura, doveva essere in possesso di un insieme di conoscenze empiriche che consentissero di stabilire con buona precisione le date utili alla semina. L’astronomia divenne così una scienza indispensabile, basata sull’osservazione dei fenomeni celesti, una risorsa inesauribile per la raccolta dei dati necessari alla costruzione di un calendario perfetto: l’alternarsi del giorno e della notte, il ciclo delle stagioni indicato dal ripetersi delle stesse figure nel cielo in un preciso periodo dell’anno. La cultura Maya venne basata in ogni suo aspetto su concezioni del cosmo e del mondo che si rispecchiano a vicenda. La cosmo-teogonia, il calendario, i riti, le matematiche, la cronologia, l'astronomia, la famiglia e la vita quotidiana attingono allo stesso modello, ispirato dal moto degli astri e dalla regolarità dei cicli della natura. Il loro calendario divenne così perfetto e legato ad ogni evento della natura da imprigionarli in una coazione a ripetere ad infinitum, fino a rendere la civiltà Maya quasi ossessionata dalla inesorabile ciclicità dei fenomeni naturali. Un popolo condannato ad obbedire in ogni sua azione ad un prestabilito ordine ciclico, come lo è tutto il mondo governato da un preciso ordine cosmologico: un ordine derivante dal tempo scandito dal ciclo del giorno e della notte, dal moto dei pianeti e dalle stagioni con il succedersi delle costellazioni. Il Popol Vuh, la Bibbia Maya narra che l’Universo venne creato rispettando un gioco di proporzioni e geometrie ben definito, intimamente legato alle relazioni esistenti fra uomo e natura, opera di un unico creatore che è un Dio increato senza causa prima.
Questo esercitò un’evidente influenza anche nell’architettura: resti archeologici mostrano che gran parte delle costruzioni erano state erette a fini astronomici. Ne sono esempi gli allineamenti monumentali e architettonici quali la stele di Copàn. A Chichen Itza, durante il tramonto, un gioco di ombre fa vedere il serpente che sale la scalinata della piramide El Castillo agli equinozi, mentre ai mezzodì dei solstizi non vi è proiettata alcuna ombra. La latitudine del loro sito, assai prossima alla linea del tropico, rendeva ancor più spettacolari i fenomeni celesti stagionali: per ben due volte l’anno, in prossimità dei solstizi, il sole passava allo zenith, e le ombre proiettate al suolo verso mezzogiorno erano perfettamente verticali; in concomitanza al primo di questi eventi celesti, durante il solstizio d’estate, si verificano la rinascita ed il rifiorire della natura in tutto il suo splendore, mentre il solstizio invernale pone fine al ciclo con la morte della stagione secca.
Il solstizio estivo coincide con la stagione delle piogge, e la dischiusa delle uova dei serpenti, quindi il risveglio della vita. Lo stesso anno solare è legato alla figura del serpente a sonagli: questo pericoloso animale che nasce col rifiorire della natura, aggiunge in età adulta ad ogni anno trascorso un segmento alla propria coda. Natura e vita entrano a far parte dei miti sotto forma di entità divine che dettano un ordine perfetto che l’uomo deve poter essere in grado di leggere ed interpretare, in quanto è lui stesso parte della natura e la sua sopravvivenza dipende da essa. Tempo e cosmo erano essi stessi governati da forze soprannaturali. L’osservazione minuziosa di ogni dovizia di particolari offerti dalla natura poteva, agli occhi di un Maya, indicare un messaggio recondito degli dei, necessario per poter adeguare ogni particolare della loro vita ai cicli degli astri e della natura. Molte rappresentazioni dei fenomeni naturali si trovano nei miti dei Maya-Quichè, tramandati nel libro Popol Vuh, la bibbia Maya, scritta per preservare le tradizioni di un popolo dall’oblio dei secoli. In questo libro viene descritta la storia delle creazione della Terra, le manifestazioni del cielo e dei fenomeni naturali terrestri, i cicli del pianeta Venere, assunto al ruolo di pietra miliare per il calendario religioso ed il funzionamento del calendario stesso. Questo libro sacro narra che venne usata dagli dei una corda per misurare le proporzioni del cosmo, tesa nel cielo e sulla terra, ai quattro angoli e ai quattro spigoli, come aveva ordinato il Creatore, colui che dà la forma ad ogni cosa, madre e padre della vita, di tutto ciò che è stato creato. Venne generata ogni cosa presente sulla terra e nel cielo, cercando gli angoli del firmamento e misurando tutto ciò che vi è in esso, quadrando le misure, stabilendo i punti di base di quel che contenevano il cielo e la terra, come avevano stabilito Tzakol e Bitol, padre e madre della vita, degli esseri animati, dei figli degni, dei discendenti di una stessa lingua, che avevano il cuore puro, dei figli e delle figlie chiaroveggenti e civilizzanti. L’Universo venne così creato rispettando un gioco di proporzioni e geometrie ben definito, intimamente legato alle relazioni esistenti fra uomo e natura. Entità soprannaturali determinano così univocamente i limiti, le forme e le dimensioni del Cosmo, dividendolo in due figure quadrangolari sovrapposte: il cielo e la terra, mentre l’uomo era parte inscindibile dell’ordine stesso insito nella natura. La loro mitologia narra dell’esistenza di quattro dei Bachab, i fratelli che Hunab Ku, il creatore dell’universo, il solo dio, aveva messo ai quattro punti del mondo dopo averlo creato in modo che reggessero il cielo. Costoro fuggirono quando ci fu la distruzione del mondo dovuta ad un diluvio. Ciascuno di essi aveva il nome della parte del mondo assegnata dal dio. Ne troviamo conferma nel Chilam Balam di Chumayel: le quattro direzioni furono marcate una ad una con dei punti di riferimento come pietre ed alberi, che si distinguevano in base al rispettivo colore bianco, nero, rosso e giallo. A guardia delle quattro direzioni vennero generati i corrispondenti dei, un dio per ciascuna direzione esistente nel cosmo. In questo modo tutto l’universo risulta perfettamente ordinato, non vi è più il caos, ma ogni atto compiuto nella creazione per portare ordine dal nulla stabilisce un modello che dovrà per sempre essere seguìto e ripetuto in perpetuum nel corso ciclico del tempo in ogni aspetto esistente, sia geometrico che astronomico, sia religioso che legato alla vita quotidiana delle manifestazioni del mondo. Ogni azione è ingabbiata in un rito per essere interpretata mediante il calendario, e celebrata dalle regole stabilite dagli dei. Per questo motivo anche nei rituali religiosi vi è traccia della costruzione dell’ordine geometrico imposto dagli dei, quando ad esempio il sacerdote opera la delimitazione dell’altare e del tempio. Lo squadrare del territorio, la costruzione dei palazzi e delle loro città rispecchiano queste norme divine, che costringono in una coazione a ripetere a replicare ogni volta la costruzione del quadrilatero cosmico.
Questo schema quadripartito fondamentale del mondo naturale, divenne un’ossessione costante del modo di pensare e finì col rispecchiarsi nella struttura politico-sociale, nel computo del tempo insita nella suddivisione del calendario, perfino nella costruzione degli edifici religiosi e residenziali. In questo modo ogni cosa diviene un piccolo microcosmo all’interno del macrocosmo, ciascuno rappresentato da ogni entità divina che governa le corrispondenti relazioni di tempo e di spazio. Nessun elemento della vita Maya può essere allora visto come un elemento indipendente dalla compenetrazione di tutto il cosmo in ogni possibile atto naturale. Il Tutto compenetra la totalità delle cose. Il quadrilatero cosmico rappresenta le direzioni dei punti indicanti il sorgere ed il tramontare del sole ai solstizi, le direzioni estreme assunte nel corso dell’anno dall’astro relativamente ai punti cardinali fissati sulla terra. Questi ultimi sono i punti d’intersezione che segnano la divisione a croce e quadripartita nel quadrato delle direzioni del cosmo.
Cielo e Costellazioni
Numeri e dei permeano la vita di ogni singolo Maya: rapporti numerici e simbologie legati a divinità che sono inscindibili dai fenomeni celesti e della natura terrena. Non ci si stupisce se, talvolta incastrati a mo’ d’ingranaggio, questi appaiono nelle cicliche e sacre rappresentazioni numeriche dei loro sacerdoti astronomi. Per esempio 13 era un numero assai importante e compariva come generatore nel calendario legato al pianeta Venere ed al dio serpente ed il mondo stesso era suddiviso in 13 cieli, il più basso dei quali ospitava la Terra. Ciascun cielo aveva un dio del mondo superiore Oxlahuntikù, e 9 inferiori con i Bolontikù (bolòn=9).
Dal codice di Dresda abbiamo una descrizione dove il cielo e la terra, identificati dal dio serpente che pervade tutto, Itzamnà. Itzamnà era il signore del giorno e della notte, dei cieli, inventò i libri e la scrittura: il serpente a 2 teste. Ed il cielo aveva infatti la forma del serpente; terra e cielo ne erano gli aspetti terrestri e celesti. Il serpente a due teste, secondo la loro mitologia, recava nel ventre i pianeti e le eclissi in quanto rappresentava l’eclittica, il moto apparente del sole nel corso di un anno lungo le costellazioni dello Zodiaco.
Nell’astronomia Maya le stelle vengono anch’esse raggruppate in costellazioni, disegnando figure immaginarie ben differenti dalle nostre, a parte una eccezione. Ci sono varie interpretazioni, talvolta contrastanti, riguardanti le rappresentazioni del cielo da parte del popolo Maya, in quanto le conoscenze a disposizione sono assai scarse. Da alcune pagine del codice di Parigi si possono trarre alcune informazioni sul loro zodiaco, forse composto di tredici case i cui primi tre segni sembra fossero occupate dallo Scorpione (che coincide con la nostra costellazione dello Scorpione), poi dalla Tartaruga e dal Serpente a sonagli. Sembra comunque che anche il loro zodiaco avesse una funzione divinatoria di carattere astrologico, mentre le immaginarie configurazioni disegnate sulla volta celeste dalle stelle assumono significati mitologici e religiosi. Prendiamo come esempio la nostra costellazione dei Gemelli: dagli affreschi delle pareti delle tombe di Bonampak, essa rappresenta una coppia di peccari che si accoppiano; parte di essa sconfina nella vicina aac, "la tartaruga", che raggruppa alcune stelle del nostro Orione, una costellazione, che spicca nel cielo invernale grazie a quella configurazione di tre stelle allineate che nella nostra mitologia vanno a formare la cintura del guerriero assieme alla sfumata spada appesa al suo fianco. È dotata di una regolarità geometrica fatta di linee e colori che balza subito all’occhio anche di chi non si è mai occupato di astronomia. Le tre stelle Rigel, Saiph e Alnitak formano in cielo un triangolo equilatero, "Le tre pietre del focolare", che rappresentano il focolare maya fatto di tre pietre disposte a triangolo, la parte fondamentale dell’abitazione. Al centro del focolare si trova la nebulosa M42, un oggetto dall’aspetto lattiginoso e sfumato all’occhio nudo, come per simboleggiare la fiamma: "K’ak". La coda del serpente a sonagli era rappresentata dal gruppo delle Pleiadi nella costellazione del Toro, era detta T’zab, termine che indica precisamente i sonagli del crotalo, e rappresentava al suo primo sorgere la fine dell’anno in corso cioè la fine dei giorni del tredicesimo mese Uayeb. Esistono anche altre interpretazioni legate alle Pleiadi, al sacro numero 7 delle sue costituenti principali visibili ad occhio nudo. Una di queste è riportata nel Popol Vuh legata al mito dei Gemelli Maya riguardante la morte di "400 giovani pieni di gioia" che trascinavano una trave enorme per costruirsi una casa. Uccisi da Zipacnà, generato da Vucub Caquix, divennero il gruppo di stelle da loro chiamate Motz (raggruppate). Sono tradizioni tutt’ora rimaste nelle popolazioni indigene, in occasione della festa del Palo Volador, una ricorrenza che simboleggia il mutuo soccorso necessario per eseguire qualsiasi lavoro che richieda lo sforzo di un intero gruppo. Quindi al trionfo finale dei Gemelli, quando si trasformeranno nel Sole e nella Luna, i 400 giovani risusciteranno (come i giorni del nuovo anno) e diventeranno la costellazione delle Pleiadi. Le tradizioni popolari tramandate agli odierni Lacandon Maya legano il rito della semina, quindi il mito dei gemelli riportato nel Popol Vuh con alcune stelle della nostra costellazione di Orione, facendo assumere alle Pleiadi un significato più profondo di quanto detto in precedenza: con altre stelle della zona del nostro Orione prendeva forma la complicata mitologia della semina del granoturco, ottenuta mediante la decapitazione della pianta, rispecchiando curiosamente il mito egizio di Osiride, il dio del grano. La testa poteva essere la splendente stella rossa Aldebaran, immersa nella nube di stelle delle Iadi, che al sorgere all’orizzonte assomiglia proprio allo sbocciare di una pianta seguita subito dal fusto composto da stelle del vicino Orione. Il primo passaggio al meridiano di questa stella indicava la notte in cui avveniva il giro del calendario. Secondo la loro tradizione, gli antichi vedevano nelle tre stelle della cintura di Orione tre piccoli peccari e la loro la madre veniva identificata con la nostra costellazione dei gemelli, altre configurazioni rappresentavano il giaguaro, una parte del serpente, una tartaruga; il pipistrello ed un mostro Xoc del mare ispirato, pare, allo squalo. Anche alla stella polare, indicatrice immobile del punto cardinale Nord, era associata ad una precisa divinità, Ah Chicum Ek, cioè "stella guida". La via lattea, quella meravigliosa striscia di minutissime stelle che domina il cielo estivo ed invernale, era ritenuta essere l’Albero della Vita, un maestoso albero di Ceiba ricoperto di fiori, che portava il nome Wakah K'an. Wak ha il significato numerico femminile del sei, significa anche "eretto", mentre K'an ha il significato di quattro, che è la quadripartitura iniziale della misura del cosmo legata al concetto di serpente o cielo. L’albero della vita veniva eretto nel cielo durante la fase della rinascita della natura e dall’orizzonte si stagliava nel cielo andando verso il Nord, conferendo alle stelle della via lattea il significato di rappresentazioni generatrici della vita. Il dio Uno generò questo sostegno per la dimora celeste degli dei sollevando il cielo dall’acqua primordiale fino alla sommità dell’universo creando assieme ad esso la grande croce, dove la via lattea nella costellazione del sagittario si incontra con l’eclittica. Ne troviamo raffigurazione nella lastra del sarcofago di Palenque in cui era inumato il sovrano Pacal, in quanto l’albero cosmico rappresentava anche il simbolo del passaggio dalla morte terrena allo Xibalbà: le anime umane vennero create solo quando il Primo Padre generò l’albero della vita. L’altra parte della via lattea che domina i cieli invernali durante la stagione asciutta, era identificata con un serpente bianco.
Sole, Luna e Pianeti
Gli dei misuratori dell’origine dell’universo, dice il Popol Vuh, si incarnarono nei grandi corpi celesti, determinano così univocamente i limiti, le forme e le dimensioni del Cosmo dividendolo in due figure quadrangolari sovrapposte: il cielo e la terra. Il quadrilatero cosmico rappresenta le direzioni dei punti indicanti il sorgere ed il tramontare del sole ai solstizi, rapportate a quelle dei punti cardinali fissati sulla terra. Ogni angolo cosmico in cui l'astro si fermava era segnato da un cippo delimitante il mondo e ciascuna delle posizioni estreme del sole veniva considerata non soltanto come un'entità soprannaturale ben definita, ma anche come parte integrante di un'unica divinità residente nel sole. Durante Kin, il giorno, il sole usciva dagli inferi all’alba ed attraversava il cielo per ritornarne al tramonto, donando l’unità di base per il computo del tempo.
Per comprendere appieno il significato dell’astronomia Maya è indispensabile conoscere, oltre all’esistenza dei frammenti di alcuni codici quali il codice di Parigi e di Dresda che danno un’idea delle loro costellazioni e del loro calendario, anche il libro sacro dei Maya-Quichè, che riporta, per esempio, la costruzione del calendario durante le varie ere, i significati mitologici assunti dalla Luna, descrivendo la cultura fusa nella simbologia numerico religiosa propria di quel popolo. Il Popol Vuh ed il Chilam Balam di Chumayel ci descrivono quanto segue: Xquic è la personificazione della luna piena e concepisce i due gemelli in modo soprannaturale, rappresentando la coltura del mais che si conclude festosamente. Durante la Terza Era, le età della luna, cioè le sue fasi, sono rappresentazioni della figura femminile della dea anziana, della dea adulta e della dea giovane: la sequenza di luna nascente che va dalla fase di primo quarto alla luna piena riproducono la gravidanza della giovane dea. La luna calante dall’ultimo quarto fino alla luna nuova sono invece rappresentazioni della vecchia Xmucanè: streghe, divinità di carattere femminile che assumono la forma identica del giaguaro, contrapposte alla figura giaguariforme assunta talvolta anche dal sole. La Luna entra nel primitivo calendario Maya mediante il conteggio delle lunazioni e la previsione delle eclissi; Il fenomeno della congiunzione del satellite della terra con il sole viene rappresentato allegoricamente dal soggiorno di Ixquic nelle viscere della terra; la sequenza di luna nascente che va dalla fase di primo quarto alla luna piena riproducono la gravidanza giovane dea. Vi è un legame fra luna, terra, acqua, vegetazione e fecondità che mettono in evidenza un legame fra astronomia e tecnica della coltivazione.
Il pianeta Venere, "Noh ek", la grande stella, ha il duplice aspetto di apportatrice di luce prima del sorgere del sole, quindi di vita, ed anche di apportatrice di morte per il giorno, quando la si osserva al tramonto ed è fondamentale, come vedremo, nel calendario.
Numeri e calendario
La forza della metodologia Maya impiegata per determinare ogni singolo fenomeno ciclico utile alla costruzione del calendario risiede nell’osservazione prolungata e nell’organizzazione della mole di dati così ricavati in leggi empiriche, regolate di volta in volta mediante continue verifiche.
I mezzi di osservazione impiegati erano la croce maya, fatta da due bastoncini posti ad X, che serviva al sacerdote-astronomo per collimare, in certe occasioni dell’anno, la posizione degli astri. Si ritiene che questi, una volta posizionatosi certi luoghi ben stabiliti, potesse confrontare il moto degli astri facendone riferimento ad alcuni elementi dei templi appositamente costruiti. Le piattaforme, le finestre e gradinate dei templi, la configurazione dei templi stessi indicavano così gli eventi celesti, congelati nel ciclo dei tempi dalle date di costruzione su di essi riportate.
La base di ogni calcolo, compreso quello astronomico, è il numero 20, perchè rappresenta il numero delle emanazioni dell’uomo, le 20 dita che si protendono dal corpo. Nulla di estremamente difficile: noi usiamo un sistema decimale, ogni computer basa i suoi calcoli sia in sistema a base binaria (0 e 1) che in base esadecimale composta di 16 simboli, mentre il popolo Maya usava una numerazione basata su 20 simboli ottenuti componendo tre glifi, o simboli principali: lo zero, l’unità ed il cinque. (vedi Figura 1). La numerazione stessa rappresenta la ciclicità dei fenomeni celesti, espressa dal concetto Maya dello zero inteso come indice dell’avvenuto compiersi di un ciclo, non come assenza di quantità. Nel sistema calendariale Maya era uso diffuso tener nota di una serie di ricorrenti cicli temporali descriventi ciascuno una manifestazione di un aspetto delle divinità mediante i moti dei corpi celesti. In questo modo all’anno solare venivano combinati cicli di durate assai maggiori, che potevano servire come computo del tempo partendo da una singola data iniziale fissata. Così si poteva stabilire una cronologia assoluta. Nel computo del tempo l’unità era il giorno, "Kin", legata al sole stesso. I giorni erano organizzati in gruppi di 20 "Kin", cioè in mesi "Uinal". È il numero 20 che compare poi anche come base per il calendario sacro. Il numero 20 è anche il numero delle emanazioni dell’uomo, le 20 dita che si protendono dal corpo. Passando al calcolo della terza unità di tempo, il "Tun", era invece composto di diciotto mesi Uinal, ossia di 360 giorni, per poterlo meglio adattare al ciclo dell’anno solare di 365 giorni, anziché di 400 come ci si attenderebbe dalla computazione vigesimale propria dei Maya. Al computo 360 si aggiungevano così 5 giorni infausti del mese "Uayéb", cioè delle disgrazie, legati al significato mistico del numero 5 che esprime l’attesa del rinnovamento per la vita nel riproporsi, d’accapo, di tutti i fenomeni celesti. I Maya celebravano l’anno nuovo già a partire dal completamento del ciclo di 360 giorni, nei cinque giorni finali dell’anno precedente dell’ultimo mese Uayeb. La paura del mancato rinnovamento del ciclo della vita faceva ritenere questi giorni in più come giorni infausti da temere, e tutti si chiudevano in casa timorosi, non sentendosi protetti dalla perfetta armonia che permea ogni evento del cosmo. Calendario, astri e vita sono fusi in un unico aspetto, confortati da un’allegoria numerico-simbolica che rappresenta la fine dei giorni "Uayeb". La simbologia numerica recondita ed il principio della compenetrazione del Tutto in ogni singola azione ricalcavano la simbologia per la preparazione delle nozze celesti proiettata nella dimensione umana. Nelle memorie del de Landa viene riportato un rituale accompagnato da un’allegoria della creazione del cosmo fatta dal sacerdote per l’inizio dell’età fertile nelle giovani fanciulle descritto nel Popol Vuh. Alla fine della pubertà, nel corso del un rituale, le madri toglievano alle loro bambine una piccola conchiglia (simbolo dello zero), sinonimo di purezza, simboleggiando la fine del compimento di un ciclo e dell’inizio del successivo che potrà generare una nuova vita. La donna ormai matura è come la terra al solstizio d’estate, pronta ad essere fecondata per procreare. Il significato della successione numerica nel rituale della conchiglia rispecchia il ciclo del calendario e dei fondamenti della numerazione: l’unità, principio primo di creazione, la procreazione del Dio Unico; lo zero ed il cinque: la mano che toglie la conchiglia per dare via alla nuova vita. Rappresenta anche il simbolo della croce formata dalle quattro direzioni nel cielo quando avviene il diluvio che feconda a terra, cioè il solstizio.
Principio primo di creazione, la procreazione del Dio Unico
365 conchiglia della fine di un ciclo
la mano toglie la conchiglia per dare via alla nuova vita.
Il computo dei giorni veniva ordinato in cicli di potenze crescenti di venti. Ciascuno di essi aveva un suo significato religioso complicatissimo legato ai fenomeni della sfera celeste. Per esempio, alla fine di ogni Katun, un periodo di 7200 giorni, veniva eretto un monumento indicante l’inizio di un nuovo ciclo, quindi una data ben precisa. L’importanza da un punto di vista astronomico è notevole, perchè il monumento così eretto recava delle iscrizioni indicanti la data e le configurazioni del cielo, assieme agli avvenimenti storici. Nel Katun più importante venne costruito a testimonianza delle configurazioni celesti un intero complesso architettonico, noto come Gruppo delle Piramidi Gemelle. Venne inoltre sviluppato un calendario rituale di supporto fatto da una successione ininterrotta di 260 giorni, il "computo dei giorni" o Tzolk'in ottenuto affiancando un numero da 1 a 13 uno dei venti giorni del ciclo Uinal legato al moto del pianeta Venere (infatti 20 x 13=260, durata media di un ciclo del pianeta). Esiste un significato mistico assunto dal numero 13, il cui patrono era Chac, il dio della pioggia e della fertilità. Ad ogni terminazione di un ciclo calendariale, ad ogni terminazione di un lungo ciclo di 13 Katun poteva risorgere la vita. Per questo il numero 13 è legato anche al rapporto fra il ciclo visibile di Venere e l’anno solare in un lungo cicli di 52 anni ai quali avanzano 13 giorni per accordarsi con l’anno astronomico vero. Questo numero era indirettamente legato alla suddivisione primaria del mondo ed ai 13 ordini superiori del cielo governati da 13 emanazioni divine e delle 13 divisioni in ore del giorno. Per definire un giorno del ciclo del calendario Maya si aggiungeva alla posizione nell’almanacco sacro di 260 giorni quella occupata dallo stesso giorno nello "haab" solare di 365 giorni. Questa successione del calendario sacro determinava l’andamento della vita cerimoniale e divinatoria. Il numero 20 non ammette divisori comuni con il numero 13, quindi ogni giorno dell’almanacco sacro era accompagnato da uno dei 13 numeri una ed una sola volta ad ogni ciclo: dovevano trascorrere tutti i 260 giorni prima che si riproponesse la sequenza dei 20 giorni con uno dei 13 numeri. Invece per ottenere un nuovo ciclo di 260 giorni sincronizzato con quello dell’anno vago di 365 giorni era necessario l’intero giro del calendario che ammontava a 52 anni. È possibile schematizzare il calendario Maya mediante due ingranaggi rappresentanti uno l’anno solare e l’altro l’almanacco rituale, che girano uno assieme all’altro ripetendo ogni 52 anni le stesse configurazioni. Infatti il minimo comun denominatore fra 260 e 365 è 5 x 52 x 73, cioè 18.980 giorni. Una volta ogni 52 anni, dunque, un determinato giorno inaugurale coincideva con il primo giorno dell’anno. Il computo del calendario fisso di 365 giorni legato ai fenomeni astronomici del susseguirsi delle stagioni è un’approssimazione per difetto del valore 365,2422 giorni ottenuto con le moderne tecniche. Sembra un’inezia una frazione di 0,2422 giorni in un anno, corrispondenti a circa 5.8 ore. In 52 anni diventano già 13 giorni di differenza fra il calendario ottenuto empiricamente ed i fenomeni osservati nel cielo. Ad esso viene in aiuto il moto di Venere, moto della rinascita e della morte della luce; il messaggero della rinascita per circa 240 giorni dopo la sua congiunzione inferiore, per poi tramutarsi in una manifestazione di morte per altri 240 giorni intercalati da una scomparsa di 90 e 13 - 14 giorni. È una manifestazione del dio serpente armonizzata a 260=13x20 giorni. Gli astronomi Maya notarono che ad ogni 2 giri del calendario (cioè ogni 104 anni "Haab") vi corrispondono 65 rivoluzioni del pianeta Venere. Il codice di Dresda parla di tre calendari venusiani distinti, ciascuno composto da 65 rivoluzioni sinodiche del pianeta. Questo pianeta nel suo moto impiega circa 583,92 giorni per compiere una rivoluzione sinodica (o meglio una sequenza di 587 583 583 587) che i Maya fissarono in 584 giorni, un piccolo errore che ne allungava il periodo di 0.08 giorni ad ogni ciclo. Mediante calcoli assai complessi, usando la coda del serpente a sonagli e la tartaruga (le nostre Pleiadi Orione e Gemelli) come riferimento per poterne controllare il periodo di rivoluzione sinodica (584 giorni circa) i sacerdoti astronomi introdussero un rituale legando cinque periodi di Venere con otto anni di calendario: 5x584=2920 giorni; dopo 61 anni si accumulava una differenza per eccesso pari a 4 giorni, che consentiva di stabilire una sorta di armonia fra il periodo di Venere e del Sole e quello degli altri corpi celesti. Rimaneva così un difetto di 2/5 di giorno ogni 8 anni di calendario. Il de Landa conferma l’uso da delle costellazioni dei Gemelli e delle stelle delle Pleiadi come guide notturne per determinare la posizione della stella del mattino. Il periodo di 240/260 giorni viene allora assorbito dal calendario rituale sacro che coadiuva il computo dell’anno solare, mentre veniva adattato legando il controllo del periodo sinodico di Venere con il mito della pianta di mais dei gemelli e del serpente a sonagli riducendolo ad una sequenza di 236, 90, 250, 8 per la sincronia col ciclo della luna. Il computo delle lunazioni dava anch’esso un errore di mezza giornata in un mese, visto che questo periodo è lievemente superiore a 29,53059 giorni, così la lunazione media venne stabilita in 4.400 giorni per 149 lune nel centro astronomico di Copàn. I testi contenuti nel Codice di Dresda insegnano il modo per intercalare ben 405 lunazioni consecutive pari ad un periodo di circa 32 anni e nove mesi, ciascuna sequenza è formata da 69 gruppi: gruppi di 6 lunazioni 178 o 177 giorni dati dall’opportuno intercalare di 3 o 4 mesi aventi la durata di 30 giorni, quindi sotto-sottociclo di :
30 + 29 + 30 + 29 + 30 + 30 = 178 oppure 30 + 29 + 30 + 29 + 30 + 29 = 177
gruppi di 5 lunazioni della durata di 148 giorni:
30 + 29 + 30 + 29 + 30 = 148
Sono glifi che rappresentano una tabella del passaggio della Luna nei nodi orbitali, i due punti d’intersezione fra l’orbita lunare e quella terrestre, inclinate fra di loro di 5°9’, dove possono, nelle opportune condizioni, dar luogo al fenomeno delle eclissi.
Ci si accorge facilmente che il metodo matematico da loro usato per il calcolo delle posizioni degli astri consisteva nell’ingabbiare tutte queste orribili e stridenti frazioni in un formalismo di proporzioni fra cicli di differente durata: l’aritmetica maya non conosceva l’uso della divisione. L’unico modo era quello di costruire cicli sempre più grandi, operazione simile alla ricerca del minimo comune multiplo nella nostra aritmetica di base. Esistono infatti delle iscrizioni rinvenute su alcuni monumenti che sembrano far riferimento ad una data lontanissima nel tempo. Per esempio, date secondarie di due monumenti di Quiriguà, una è collegata ad una data secondaria che sembra preceda di circa 90 milioni di anni la data corrispondente al nostro 761 d.C. Mentre un’altra data di serie secondaria in un altro monumento risulta antecedente di oltre 400 milioni di anni alla data di computo lungo su di essa riportata.
Ai cicli calendariali si aggiunge anche un ciclo di computo lungo, un periodo di circa 5128 anni solari, che dà una serie iniziale per la conta dei giorni e corrispondente ad una fase mitologica del mondo. Una sorta di cronologia assoluta facente riferimento ad una data iniziale lontanissima nel tempo stimata nel 13 agosto 3114 A.C. parte di un grande ciclo che si chiuderà per la prima volta. Usando assieme i tre computi poteva essere determinata univocamente una data all’interno di una fase del mondo corrente, l’ultimo dei cicli rappresentanti le ere del mondo.
Analizzando i vari cicli di date ottenuti con la base di numerazione vigesimale, escludendo come si è detto il terzo ordine, venivano generati nove ordini di periodi di tempo:
Unità di base nome successivo
20 kin uinal, 20 giorni
18 uinal tun, 360 giorni
20 tun katun, 7200 giorni
20 katun baktun, 144.000 giorni
20 baktun pictun, 2.880.000 giorni
20 pictun calabtun, 57.600.000 giorni
20 calabtun kinchiltun, 1.152.000.000 giorni
20 kinchiltun alautun, 23.040.000.000 giorni
Lo schema del cosmo, governato da dei Reggenti posti ai quattro angoli è la base ed il punto di partenza per la dottrina delle Quattro Ere del mondo. Questo indusse i Maya a credere all’esistenza di vari mondi prima del loro, ciascuno di essi distrutto da un diluvio, alla fine di un lungo periodo di 5128 anni, come descritto nel codice di Dresda:
Il cielo è attraversato da un serpente; accanto ad esso le costellazioni. I simboli delle eclissi solari e lunari pendono dal suo ventre. Dalle mascelle si versa l’acqua sulla terra. Sotto il serpente la vecchia dea, della morte e distruzione, tiene con le mani un vaso rovesciato che fa versare acqua.
Il primo mondo, quando il sole non era stato ancora creato, era abitato da nani, saiyam unicob, gli aggiustatori, che avrebbero nell’oscurità costruito le grandi città in rovina. Con la prima alba essi furono mutati in pietra. Vi fu il primo diluvio, lo haiyocoab. Il secondo era un mondo abitato dai trasgressori, dzolob, estintisi in seguito al secondo diluvio. Ne seguì il terzo, popolato degli stessi maya, la gente comune mazehualob, e venne distrutto dal terzo diluvio, lo bulkabal (immersione).
Il quarto mondo è popolato da una mescolanza di genti dello Yucatàn e le profezie parlano di un imminente diluvio che vi porrà fine, corrispondente al nostro anno 2012.
Ciò che rende astronomicamente interessante la fine di questo particolare ciclo in cui viviamo è l’occorrere della congiunzione del sole, a perpendicolo nelle latitudini dei siti Maya, con il centro della via lattea nella costellazione del Sagittario durante il solstizio invernale. È un fenomeno essenzialmente dovuto alla precessione degli equinozi ed ovviamente non ha alcun significato esoterico o astrologico. In questa regione del cielo, a causa della polvere interstellare concentrata nella direzione del centro della galassia, sembra ci sia una sorta di buco nella sfumata continuità della striscia della via lattea, ed il sole alla fine di questa era vi transiterà animato del suo moto apparente. Gli antichi Maya chiamavano questa zona del cielo come Xibalba-be, la strada verso il mondo sotterraneo, legandola alla discesa negli inferi dei due gemelli come descritta dal Popol Vuh. Il sole in questa posizione feconderà la terra da quella particolare zona dell’albero della vita, e si chiuderà un’era del mondo mediante un terribile diluvio coincidente con l’inizio della stagione delle piogge, un grande evento di acqua, apoteosi di cicli di microdiluvi per la rinascita del nuovo mondo. La madre Cosmica darà così vita al Primo Dio alla fine di questi 13 cicli bactùn.
BibliografiaIl libro di Chilàm Balàm di Chumayel : mito e cronaca in un testo maya yucateco versione italiana a cura di Mario Sartor. - Padova : CLEUP, 1989. - LXXIV, Traduzione di: The Book of Chilam Balam of Chumaiel
Brosnahan Tom, La strada dei maya. Torino : EDT (Guide EDT), ©1992. - 2 v. Traduzione di: La
ruta Maya
Brosnahan, Tom, Guatemala e Belize : la strada dei Maya 2. Torino : E.D.T., ©1995. - XIII,
Traduzione di: Guatemala, Belize & Yucatan Collana: Guide EDT
D.Coe Michael, Breaking the Maya Code,. : Thames and Hudson , N.Y. 1992, USA
MorleyGirard,Raphael, Le popol-vuh. Histoire culturelle des maya-quichés, Payot, Paris 1972.
MorleyGirard,Raphael, La bibbia Maya, Jaca Book
Sylvanus Griswold - Brainerd, George Walton - Sharer, Robert J.
I maya. : Editori riuniti, Roma, 1984. Traduzione di: The ancient Maya
Morley, S.G., G.W. Brainerd and R.J.Sharer. The ancient Maya, Stanford Univ. Press, 1983
Laurencich Minelli, L. "La concezione dell’aldilà presso i Maya e gli Aztechi" Studi etno-antopologici, Atena editrice, 1987 (sotto gli auspici del CNR).
Von Hagen Victor Wolfgang, Alla ricerca del sacro quetzal. Milano : Rizzoli, 1984.
Von Hagen Victor Wolfgang, Il mondo dei Maya. Roma : Newton Compton 1993.
G. Romano enciclopedia "Astronomia alla scoperta del cielo" Curcio
G. Romano articoli da "l’Astronomia", 1998
Maria Longhena, Scrittura Maya, Mondadori 1998
David L. Mills, P. Mathews: "Maya and their writing" lecture on University of Calgary, 1996
John Mayor Jenkins Tesi da "The center of Mayan Time" ,1994
Mayan Cosmogenesys, aprile 1995 (Parte del lavoro è in WEB)